versione di latino di Cicerone
Firmamentum
autem stabilitatis constantiaeque est eius, quam in amicitia
quaerimus, fides; nihil est enim stabile, quod infidum est.
Simplicem praeterea et communem et consentientem, id est qui rebus
isdem moveatur, eligi par est. Quae omnia pertinent ad
fidelitatem; neque enim fidum potest esse multiplex ingenium et
tortuosum, neque vero, qui non isdem rebus movetur naturaque
consentit, aut fidus aut stabilis potest esse. Addendum eodem est
ut ne criminibus aut inferendis delectetur aut credat oblatis,
quae pertinent omnia ad eam, quam iam dudum tracto, constantiam.
Ita fit verum illud, quod initio dixi, amicitiam nisi inter bonos
esse non posse. Est enim boni viri, quem eundem sapientem licet
dicere, haec duo tenere in amicitia: primum ne quid fictum sit
neve simulatum; aperte enim vel odisse magis ingenui est quam
fronte occultare sententiam; deinde non solum ab aliquo allatas
criminationes repellere, sed ne ipsum quidem esse suspiciosum
semper aliquid existimantem ab amico esse violatum. Accedat huc
suavitas quaedam oportet sermonum atque morum, haudquaquam
mediocre condimentum amicitiae. Tristitia autem et in omni re
severitas habet illa quidem gravitatem, sed amicitia remissior
esse debet et liberior et dulcior et ad omnem comitatem
facilitatemque proclivior.
Base
poi di quella stabilità e costanza che cerchiamo nell’amicizia, è la
lealtà; niente, infatti, è stabile se è sleale.
È conveniente inoltre che venga scelto (come amico) uno schietto,
affabile e concorde (con noi), cioè che reagisca alle situazioni come noi.
Tutte cose queste che appartengono alla sfera della lealtà; neppure,
infatti, può essere leale un carattere lunatico e tortuoso, né poi può
essere leale o stabile (colui) che non reagisce come noi e non ha per natura i nostri stessi sentimenti.
A (questo) stesso scopo bisogna aggiungere che (l’amico) non provi gusto
nel muovere accuse o non presti fede alle (accuse) mosse. Tutte cose
queste che riguardano quella fermezza d’animo che già da un po’ vado
trattando. Così diventa vero ciò che ho detto in principio, che (cioè)
non può esservi amicizia se non tra persone virtuose. È
infatti proprio di un uomo virtuoso, che può anche essere definito
saggio, osservare nell’amicizia queste due regole: la prima, che non ci
sia niente di finto né di simulato; infatti addirittura l’odiare
apertamente è degno di un uomo virtuoso più che il nascondere con il volto il (proprio)
parere; la seconda che non solo rifiuti le calunnie mosse da qualcuno (contro l’amico), ma
che non sia sospettoso neanche lui, pensando sempre che l’amico abbia
commesso qualche torto.
Conviene che si aggiunga a ciò una certa dolcezza di parole e di
comportamenti, condimento davvero non da poco7
dell’amicizia. L’atteggiamento burbero e severo in ogni circostanza
possiede sì, (già) quello [oppure: di per sé], una
(sua) serietà, ma l’amicizia deve essere più piacevole, più
tranquilla, più dolce e più disposta verso ogni (forma di) cortesia e
(di) affabilità.
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